La Face autre de l'autre Face

a cura di Davide Di Maggio / curated by Davide Di Maggio - La Face autre de l'autre Face / Fondazione Mudima, Milano

ANNO 2021

LA FACE AUTRE DE L'AUTRE FACE
a cura di Davide Di Maggio

Daniela Alfarano / Gabriele Basilico / Renata Boero / Loris Cecchini / Pierpaolo Curti / Diamante Faraldo / Claudio Gobbi / Francesco Jodice / Christiane Löhr / Uliano Lucas / Giovanni Manfredini / Sabrina Mezzaqui / Ugo Mulas / Federico Pietrella / Andrea Salvino / Alfredo Pirri / Nicola Samorì / Andrea Santarlasci / Nerina Toci / Alessandro Verdi / Nicola Verlato
In occasione dell’apertura della mostra, il 21 gennaio 2021 la Fondazione Mudima resterà eccezionalmente aperta dalle 10 alle 20 (orario continuato).
Al fine di assicurare l’esperienza di visita in totale sicurezza, gli accessi alla mostra sono contingentati nella quantità e nella frequenza.
La Fondazione Mudima è lieta di presentare la mostra “La Face autre de l’autre Face”, a cura di Davide Di Maggio, che arriva a Milano dopo essere stata ospitata al Muc - Musée Urbain Cabrol di Villefranche de Rouergue.
La mostra è parte del progetto Viva Gino! Une vie dans l’art, grande evento francese che ha celebrato la passione di Gino Di Maggio, a Les Abattoirs, Musée-Frac Occitanie Toulouse, presentando opere di alcuni dei più importanti movimenti del ‘900: Futurismo, Fluxus, Nouveau Réalisme, Mono-Ha, Gutai, Videoarte, Arte Programmatica e Cinetica. Il percorso testimonia i forti legami di amicizia che Gino Di Maggio ha intessuto per anni con artisti d’ogni orizzonte, oltre al suo investimento morale ed etico nel supportare la creazione artistica al di là delle tendenze di mercato.
Il problema è diventato dunque il trovare una linea per applicare un criterio di selezione degli artisti. Jean Baudrillard ne Il complotto dell’arte (1998), sostiene che “La maggior parte dell’arte contemporanea tende ad appropriarsi della banalità, del rifiuto, della mediocrità come valore e ideologia... Il passaggio al livello estetico non salva niente, anzi: è una mediocrità elevata al quadrato. Pretende di essere il nulla e lo è davvero”.
La Face autre de l’autre Face presenta invece una selezione di 21 artisti, la maggior parte italiana, la cui attitudine interdisciplinare della ricerca consente loro di muoversi fuori e al di là dei limiti territoriali e linguistici, ponendosi al crocevia tra arte visiva, fotografia, video e installazione, tutte discipline frequentate e intrecciate da ognuno di loro.
Lo spazio della Fondazione, da costruire e plasmare, diviene quindi il punto di incontro dove il loro lavoro si incontra e si confronta, un incrocio di relazioni che prima del loro intervento era di gran lunga meno accessibile.
La coscienza della differenza dei linguaggi reciproci, permette agli artisti in mostra di occupare una posizione che garantisce una visione di insieme e di costruire una casa della coesistenza delle differenze.
Più che la registrazione visuale dell’esistenza quotidiana, gli artisti svelano episodi in cui la loro capacità immaginativa incontra l’intimità della loro stessa vita, portandosi dietro l’eco del tempo. La pittura italiana ricopre un ruolo importante nella mostra, per avvertire del pericolo che una logica diffusa distolga gli artisti contemporanei dai loro istinti naturali verso di essa. Cecily Brown per esempio smise di dipingere all’accademia, per poi riprendere anni dopo, dichiarando “Mi vergognavo del mio piacere di dipingere. Alla fine smisi” (“Flash Art”, giugno-luglio, 1998).
Quasi completamente esclusa dalle rassegne internazionali, la pittura italiana dimostra oggi una grande vitalità ed un ritorno ai valori culturali e tradizionali della grande pittura italiana del Rinascimento:
Nicola Verlato, Nicola Samorì, Giovanni Manfredini, Alessandro Verdi ed Andrea Salvino si servono di linguaggi che rinnovano di continuo la tradizione figurativa e straordinaria è la loro qualità nel trattare la figura pur con le inevitabili differenze delle poetiche di ciascun artista.
In mostra anche una personalità di spicco, come Renata Boero, artista storica italiana che da anni lavora sul recupero della pittura, cercando di riscriverne l’alfabeto, tenendo conto di tutte le tra-sformazioni avvenute dalla fine degli anni ‘60, in cui parlare di e fare pittura era blasfemo.
Anche la fotografia ricopre un ruolo centrale nella mostra. Una sorta di passaggio generazionale, partendo dalla famosa sequenza su Lucio Fontana di Ugo Mulas, “L’attesa”, 1964, al lavoro storico di Uliano Lucas “Il posto delle fragole”, del 1988, alle vedute seducenti e quasi ipnotiche in bianco e nero di Gabriele Basilico fino ad arrivare a Francesco Jodice, la cui ricerca indaga i mutamenti del paesaggio sociale contemporaneo, con una particolare attenzione per i fenomeni di antropologia urbana, Claudio Gobbi, che da alcuni anni ha intrapreso una propria ricerca artistica che ha come temi centrali la storia d’Europa e Nerina Toci giovane artista albanese, con le sue foto in bianco e nero che racchiudono tutti gli aspetti dell’ambiguità indicibile tra spazio immaginario e reale, pre- senza e assenza, vita e morte che prende forma in una dimensione di sospensione temporale. Daniela Alfarano, partendo dal disegno si appropria di una matrice concettuale ed installativa utilizzando una tecnica raffinata e Federico Pietrella, che da molti anni lavora sulle tele non con il pennello ma con uno di quei timbri che servono a marcare le date sui documenti. L’immagine che ne risulta, creata con un procedimento che richiama il puntinismo, ha un effetto spiccatamente impressionista. Pierpaolo Curti il cui lavoro è influenzato dalla metafisica e la presenza umana è assente ma la si percepisce nelle architetture della mente.
Infine una serie di artisti che hanno focalizzato la loro attenzione sull’installazione, da Christiane Löhr che realizza le sue sculture e installazioni utilizzando elementi organici come delicati materiali da costruzione. Alcuni di questi includono crini di cavallo, semi dispersi nell’aria, fiori di alberi, gambi di piante e sbavature. L’artista trasforma questi elementi in strutture elaborate e ordinate, traducendo la sensibilità e la fragilità del materiale scelto in forme volumetriche, a Loris Cecchini, il cui lavoro trae linfa dalla meditazione sul concetto di “organismo”: un sistema in continua evoluzione che si auto-genera, costruendo la propria crescita a partire da un modulo, come avviene in architettura o nell’analisi del linguaggio.
L’immaginario dell’artista, popolato da strutture simboliche e autopoietiche che dialogano con lo spazio circostante, è veicolato da una sottile ricerca sui materiali, dalle gomme alle plastiche ai me- talli.
Andrea Santarlasci invece fin dagli esordi affronta temi che attraversano tutti i momenti della sua ricerca: le relazioni e le opposizioni tra naturale e artificiale, tra spazio privato e ambiente esterno, tra riflessione individuale e dimensione collettiva, e Diamante Faraldo, nel cui lavoro la realtà ri- chiede di essere contemplata, si riflette su se stessa, si nasconde e si deforma dietro lo sguardo. Installazioni, sculture e disegni richiedono raccoglimento, impongono la necessità di fermarsi a scrutarli attentamente per distinguere sfumature, dettagli e particolari celati dietro materiali atavici (come il marmo nero del Belgio) o contemporanei.
Alfredo Pirri che ha sempre mostrato una particolare attenzione verso l’interazione tra materia, volume, spazio e colore, in quanto veicolo di luce. Le sue opere si confrontano costantemente con l’architettura, per ricreare uno spazio abitabile e allo stesso tempo un luogo che svolga una funzione sociale e politica.
Sabrina Mezzaqui, l’unica con una video installazione a soffitto. Molti suoi lavori sono una materializzazione dello scorrere del tempo, mettendo in gioco il senso del fare manuale nella ripetizione per ore e ore di gesti minuti (infilare perline, ritagliare, piegare, disegnare piccoli motivi). Nelle opere spesso compare la scrittura, brevi testi, memorie, riferimenti letterari, libri rimaneggiati, e anche i suoi video raccontano di tempi lenti, registrando variazioni di luce o semplici fenomeni naturali come il pulviscolo nei pressi di una finestra socchiusa o le stelline riflesse dal sole sulle onde o la neve che cade.
A loro è stato chiesto di modificare la nostra percezione dello spazio, l’architettura del luogo, il nostro pensiero, dandogli nuova vita.
Questa mostra è il sogno e la veglia, l’immaginario e la realtà, il racconto e la metafora. È una riflessione privata ma su un destino collettivo, figure e forme che escono dall’opera per diventare pensiero.